“Maltrattamenti e violenza sessuale divengono tortura”

La Cassazione riconosce il delitto previsto dall’art. 613-bis cp, nel contesto di una relazione privata tra uomo e donna.

a cura dell’Avv. Livia Bongiorno

La terza Sezione della Corte di cassazione aderisce all’orientamento innovativo sostenuto dai giudici di merito e coglie l’occasione per offrire maggiore riparo alle vittime delle violenze più efferate, colpite nei contesti a loro più cari.

Il reato di maltrattamenti, come noto, punisce proprio quei comportamenti che violano l’integrità fisica, psicologica e morale della persona nelle sue relazioni più significative, ad esempio in famiglia, a lavoro o a scuola. Ma cosa accade quando la condotta del prevenuto travalica questa soglia e degenera in condotte spietate e lesive della dignità umana? Il delitto previsto dall’art. 572 c.p., può non bastare a qualificare e punire le intense sofferenze fisiche e psichiche che talora sono inflitte in una relazione privata. In questi casi, secondo la Corte, è possibile riconoscere i tratti del delitto di tortura previsto dall’art. 613-bis c.p.

Nel caso oggetto della sentenza che qui si segnala, la vittima veniva minacciata gravemente e subiva ripetute violenze da parte del compagno. Veniva posta in una condizione di completo assoggettamento e sconforto attraverso una pluralità di condotte reiterate nel tempo con particolare efferatezza, insensibilità e gratuità.

La Cassazione, ripercorrendo la vicenda, rileva nei comportamenti dell’imputato una sorta di escalation, in termini di gravità, secondo un andamento ciclico tipico della violenza nelle relazioni strette. Così, nei primi tempi della relazione sentimentale si collocano offese, minacce e percosse non gravi; a seguire, le lesioni divenivano via via più importanti e le violenze sessuali ripetute, fino ad arrivare ad una degenerazione pericolosa delle condotte, alla privazione della libertà personale della vittima che veniva chiusa in casa, abusata e sottoposta a sofferenze atroci, dunque alla tortura.

Giudicato colpevole all’esito di entrambi i precedenti gradi di giudizio dei delitti di tortura, maltrattamenti e violenza sessuale in concorso materiale tra loro, il ricorrente lamentava dinanzi la Corte di legittimità la mancata valutazione da parte dei giudici di merito del grado di attendibilità della testimonianza resa dalla persona offesa costituita parte civile nonché, l’insussistenza degli elementi costitutivi del reato di tortura.

La Corte, nel ritenere il ricorso infondato, attesta innanzitutto il valore del contributo offerto dalla vittima allorquando presti la sua testimonianza in processi aventi ad oggetto aggressioni e/o violenze sessuali come nel caso di specie. In tali circostanze, infatti, è alta la probabilità che la persona offesa sia l’unica testimone dei fatti, l’unica fonte del convincimento del giudice e, proprio per tale ragione, la sua deposizione va calibrata e valutata attentamente dal giudicante. Nel caso di specie, i giudici di legittimità evidenziano oltre alla precisione ed alla puntualità rimasta inalterata nel tempo, l’ampio riscontro che la narrazione della vittima ha trovato in tutti i referti medici e nelle fotografie versate in atti. Pertanto, la Corte prosegue ripercorrendo le dichiarazioni della vittima: le gravi minacce, anche di morte, spesso indirizzate ai figli della donna; le sofferenze fisiche acute cagionate mentre la stessa era privata della sua libertà di movimento dal compagno che la imprigionava all’interno della sua abitazione; le violenze sessuali inflitte immediatamente dopo che la vittima era stata gravemente percossa; la pluralità delle condotte reiterate e cronologicamente consistenti; le inaudite barbarie e le umiliazioni, le percosse che la donna era stata costretta a subire sotto il getto d’acqua di una doccia fredda, il marchio sul fianco per mezzo di una forchetta rovente.

La Corte, quindi, non rileva nessun dubbio riguardo la sussistenza degli elementi costitutivi del delitto di tortura, in concorso materiale con i reati di maltrattamenti e violenza sessuale: si tratta, infatti, di tre fattispecie che nello specifico sono state poste in essere in tempi non coincidenti e tra le quali non sussiste alcun rapporto di continenza poiché, in ogni caso, tutelano beni giuridici distinti e presentano elementi costitutivi diversi. In particolare, per l’integrazione dell’art. 572 c.p., occorre il ripetersi prolungato nel tempo di una pluralità di atti lesivi dell’integrità fisica, della libertà o del decoro della vittima quali, ad esempio, ingiurie, percosse, minacce, ma anche umiliazioni e atti di disprezzo della persona che valutati singolarmente potrebbero anche non avere, di per sé, rilevanza penale. Quanto al delitto di tortura, invece, occorrono atti che costituiscano di per sé reato e che per la loro gravità siano idonei a produrre acute sofferenze fisiche o verificabili traumi psichici, nonché lesivi della libertà e della dignità umana.

Con riferimento, infine, al reato di violenza sessuale, dove spesso le gravi violenze fisiche e la privazione della libertà della vittima, non solo sessuale ma anche di movimento, rendono altissimo il disvalore della condotta, la cassazione ricorda il monito della Corte Europea che ha osservato come, a determinate condizioni, possa assurgere da solo a tortura (Aydim c. Turchia, 25 settembre 1997, ric. N. 23178/94).

Avv. Livia Bongiorno (Rete Dafne Italia)

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