La pronuncia di frasi come “negro tornatene al tuo paese” integra l’aggravante dell’odio razziale.

Corte di cassazione, 19 luglio 2022, sentenza n. 27978.

 Violazioni di domicilio, lesioni, danneggiamenti, tentativo di incendio dell’abitazione, atti persecutori e la pronuncia della frase “negro tornatene al tuo paese”: la Corte di cassazione ha riconosciuto l’aggravante dell’odio razziale.

L’imputato aveva presentato ricorso alla Corte lamentando l’insussistenza di tale circostanza aggravante e, allo stesso tempo, il mancato riconoscimento dell’attenuante della provocazione, posto che le vicende oggetto di processo sarebbero scaturite da un precedente «atteggiamento» della vittima nei confronti della fidanzata del ricorrente.

La Corte ha confermato la condanna dell’imputato e dichiarato il motivo di ricorso inammissibile, evidenziando come, in ordine all’aggravante, l’odio razziale sia stato reso palese dalla pronuncia della frase “negro tornatene al tuo paese” e dal contesto di violenza e sopraffazione nel quale è stata pronunciata. Quanto, invece, al mancato riconoscimento dell’attenuante la Corte ha motivato la decisione osservando che l’offesa è stata non soltanto “macroscopicamente” sproporzionata, ma anche avvenuta a distanza di tempo dalla presunta provocazione.

La sussistenza dell’aggravante ex art. 604-ter, c.p., è stata riconosciuta dalla Corte anche in contesti meno gravi rispetto a quello oggetto della pronuncia che qui si commenta, come, ad esempio, in relazione al solo reato di minaccia o a quello di ingiuria. La finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso, secondo la Corte, è infatti configurabile in tutti i casi in cui il ricorso a particolari espressioni ingiuriose riveli «l’inequivoca volontà di discriminare la vittima del reato in ragione della sua appartenenza etnica o religiosa, volendola escludere da una condizione di parità». In tali casi l’aggravante è applicabile «a prescindere dal movente che ha innescato la condotta» (Cass. pen., Sez. V, n. 32862/2019; Cass. pen., Sez. V 43488/2015; Cass. pen. Sez. V, n. 11590/2010). Le interpretazioni così fornite dalla Corte di cassazione sono in linea con la ratiosottesa alla formulazione delle attuali disposizioni codicistiche relative ai delitti contro l’eguaglianza, artt. 604-bis c.p. e 604-ter c.p. Queste, poste a tutela del valore costituzionale della pari dignità sociale di ogni individuo, sono frutto di uno sviluppo normativo e giurisprudenziale che prende le mosse dalla L. 13 ottobre 1975 n. 654, che ratificò e diede esecuzione nell’ordinamento italiano alla  Convenzione internazionale di New York del 1966, sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale. All’art. 1 della Convenzione la definizione di “discriminazione” abbraccia un concetto molto ampio, indicando «ogni distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore, l’ascendenza o l’origine etnica, che abbia lo scopo o l’effetto di distruggere o di compromettere il riconoscimento, il godimento, o l’esercizio, in condizioni di parità, dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale e culturale o in ogni altro settore della vita pubblica».

Anche in ambito europeo si apprezzano diverse disposizioni volte al contrasto di ogni forma di discriminazione e, in via generale, la normativa prescrive agli stati membri di adottare un approccio penale comune ai crimini di odio e, comunque, di penalizzare tutte le condotte tese alla discriminazione e all’odio razziale (Decisione Quadro 2008/913/GAI, del Consiglio dell’Unione Europea).

Con particolare riguardo alla protezione della vittima dei reati d’odio, si segnala la Direttiva 2012/29 che, a tutela di alcune particolari categorie di vittime da reato, tra cui proprio le vittime di discriminazione e odio razziale, prevede all’art. 22 che esse siano oggetto di una valutazione individuale per riconoscere le specifiche esigenze di protezione e di sostegno, essendo particolarmente esposte al rischio di vittimizzazione secondaria e ripetuta, di intimidazione e di ritorsioni. Tale disposizione comporta, tra le altre cose, l’obbligo in capo alle forze di polizia degli Stati membri di identificare le vittime di reati generati dall’odio e di registrare la motivazione razzista al momento della denuncia. In accordo con tale previsione, anchel’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa da tempo sostiene che i crimini d’odio razziale dovrebbero essere monitorati e registrati come una categoria di crimine a sé stante, segnalando ogni volta le diverse motivazioni basate sul pregiudizio, in modo da individuare le misure appropriate per contrastarli. La stessa Organizzazione sostiene, inoltre, l’importanza di considerare le possibili identità multiple della vittima (quali religione, appartenenza etnica e genere) già nella fase di indagine, in modo da evitare ripercussioni rilevanti per le singole vittime.

Avv. Livia Bongiorno (Rete Dafne Italia)

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