Vittima di atti persecutori e ammissione al patrocinio a spese dello Stato.

Corte di Cass. Sez. IV penale, ud. 5 aprile 2022 (dep. 28 aprile 2022), n. 16272.

Maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale, revenge porn e atti persecutori sono alcune delle gravi, ma tutt’altro che infrequenti, fattispecie criminose dove l’esperienza di vittimizzazione può procurare emozioni e sentimenti di notevole intensità, vissuti difficili da gestire e capaci di influenzare la vita quotidiana.

La condizione di vulnerabilità e di solitudine in cui si trova la vittima di questi particolari reati è stata avvertita dal legislatore che da qualche tempo sta tentando di andare incontro alle esigenze delle persone offese anche fornendo strumenti pratici di supporto, soprattutto al fine di incoraggiare la denuncia e favorire la repressione di crimini tanto odiosi e ripugnanti.

Tra i vari ambiti di intervento del legislatore la sentenza che qui si segnala ci ricorda il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, in tema di ammissione al patrocinio a spese dello Stato. In particolare, all’art. 76, comma 4-ter, viene stabilito che «la persona offesa da uno dei reati ivi elencati (572, 583-bis, 609-bis, 609-quater, 609-octies e 612-bis…c.p.) può essere ammessa al gratuito patrocinio anche in deroga ai limiti di reddito previsti nel presente decreto». La finalità perseguita dal legislatore attraverso questa importante previsione è di tutta evidenza: far uscire le vittime dalla solitudine e dal silenzio in cui si trovano, eliminando qualsivoglia ostacolo, anche di natura economica, all’emersione del reato ed alla conseguente condanna del colpevole. Anche la Corte costituzionale, che di recente si è espressa sul tema, ha evidenziato la ratio della disciplina in esame affermando come essa sia rinvenibile in una precisa scelta di indirizzo politico criminale che ha l’obiettivo di offrire un concreto sostegno alla persona offesa, la cui vulnerabilità è accentuata dalla particolare natura dei reati di cui è vittima (Corte Cost. Sent. n. 1 del 11 novembre 2021).

Il caso riguarda una donna vittima di atti persecutori che nell’ambito del procedimento penale avanzava alla Corte d’Appello di Catanzaro richiesta di ammissione al patrocinio a spese dello Stato ex art. 76, comma 4-ter, D.P.R. 115/2002: stando al disposto della norma in questione, con riferimento a talune fattispecie di reato contro la persona, tra i quali proprio gli atti persecutori, la persona offesa può essere ammessa al gratuito patrocinio anche in deroga ai limiti di reddito previsti dalla legge, quindi, a prescindere dalla produzione della documentazione reddituale (ad esempio attestazione ISEE). Pertanto, la persona offesa presentava per mezzo del suo difensore la richiesta corredata dei documenti di identità ed indicando le generalità proprie e dei familiari conviventi, mentre ometteva di allegare le attestazioni relative alle condizioni patrimoniali.

I giudici rigettavano l’istanza ed anche il ricorso presentato avverso tale provvedimento di rigetto, sempre dinanzi la medesima Corte d’Appello, non trovava accoglimento proprio per l’omessa indicazione dei dati relativi alla situazione reddituale della richiedente previsti dalle lett. c) e d) dell’art. 79, D.P.R. 115/2002, rubricato “contenuto dell’istanza”. Secondo i giudici calabresi, infatti, «è vero che la disposizione normativa contenuta nel comma 4-ter, dell’art. 76, D.P.R. 1115/2002, consente al giudice del processo penale di ammettere la persona offesa dai reati ivi elencati anche in deroga ai limiti reddituali stabiliti dallo stesso testo unico sulle spese di giustizia» ma, al contempo, sempre secondo lo stesso Collegio, trattasi «di un potere discrezionale del giudice, che consente una deroga ai suddetti limiti, ma non prescinde in modo assoluto dalle condizioni reddituali e patrimoniali della persona offesa, la quale, pertanto, è tenuta a fornire al giudice degli elementi di valutazione che gli permettano di determinarsi sull’esercizio del potere di ammissione al beneficio demandatogli dal legislatore, posto che il gratuito patrocinio a spese dello Stato, anche per le vittime dei reati elencati nell’art. 76, comma 4-ter, postula comunque una condizione di disagio economico che nel caso di specie non risulta in alcun modo documentata né adeguatamente prospettata…».

Data l’evidente distonia di tale ordinanza rispetto alla littera legis della norma in questione, nonché rispetto alle pronunce rese sul punto da parte dei giudici di legittimità e dalla Corte costituzionale, la persona offesa presentava ricorso alla Corte di cassazione per ottenere l’annullamento del provvedimento. I giudici della Cassazione hanno ritenuto non corretta l’interpretazione del D.P.R. 115/2002, all’art. 76, comma 4-ter, fornita sia dal giudice del rigetto che da quello dell’opposizione e ha disposto l’annullamento dell’ordinanza ed il rinvio per un nuovo giudizio alla Corte d’Appello di Catanzaro, sottolineando come l’illogicità del provvedimento impugnato appaia incomprensibile, data la chiarezza della norma e la uniforme interpretazione che di essa è stata resa negli anni dalla stessa suprema Corte e dai giudici costituzionali.

La Corte di cassazione, infatti, ha da tempo affermato il diritto della persona offesa da uno dei reati indicati dalla norma a fruire del patrocinio a spese dello Stato per il solo fatto di rivestire tale qualifica e a prescindere dalle proprie condizioni di reddito che non devono neanche essere oggetto di dichiarazione o attestazione». Tale lettura è imposta dalla ratio della norma che vuole assicurare alle vittime di quei particolari reati un accesso alla giustizia favorito dalla gratuità dell’assistenza legale: «il criterio che deve guidare l’applicazione della norma non è, dunque, il reddito, ma la condizione di vulnerabilità delle vittime» (Cass. IV Sez., n. 13497 del 15/02/2017; Cass. IV Sez., n. 52822 del 10/10/2018).

La Corte di cassazione si allinea così pedissequamente ai dettami del giudice delle leggi che, con la recente pronuncia n. 1/2021, pocanzi richiamata, ha posto fine al dibattito relativo al patrocinio a spese dello Stato nei confronti delle vittime dei reati di cui all’art. 76, comma 4-ter, D.P.R. 115/2002, fugando ogni possibile dubbio interpretativo. Per le vittime di tali violenze, ha chiarito la Consulta, è garantito il gratuito patrocinio indipendentemente da reddito e situazione economica ed è legittima l’automatica ammissione al patrocinio a spese dello Stato della persona offesa dai reati indicati dalla stessa norma senza alcuna previa valutazione reddituale da parte del giudice. La Corte costituzionale ha affermato, infatti, che la scelta del legislatore con l’introduzione della norma in esame non appare né irragionevole né lesiva del principio di parità di trattamento, considerata la particolare vulnerabilità delle vittime dei reati indicati oltre che le esigenze di garantire al massimo il venire alla luce di tali reati.

La stessa pronuncia ha ricordato la grande attenzione che negli ultimi anni è stata rivolta nel nostro ordinamento ai reati contro la libertà e l’autodeterminazione sessuale, considerato il crescente allarme sociale che da essi è scaturito, e la maggiore sensibilità culturale e giuridica in materia di violenza contro le donne e i minori. Ne è derivata la volontà di «approntare un sistema più efficace per sostenere le vittime, agevolandone il coinvolgimento nell’emersione e nell’accertamento delle condotte penalmente rilevanti». Il beneficio del gratuito patrocinio non è dunque legato ad una presunzione di non abbienza delle persone offese dai reati indicati nella norma, quanto piuttosto alla vulnerabilità delle persone offese dai reati presi in considerazione.

Per tali ragioni, il principio di diritto espresso dalla Corte costituzionale, ribadito dalla Cassazione e al quale dovrà adeguarsi il giudice del rinvio, recita proprio che in tema di ammissione al patrocinio a spese della Stato, ai sensi del D.P.R. 115/2002, art. 76, comma 4-ter, la persona offesa da uno dei reati ivi elencati può essere ammessa al patrocinio anche in deroga ai limiti di reddito previsti dallo stesso articolo. Ne consegue che la relativa istanza necessita esclusivamente dei requisiti di cui all’art. 79 dello stesso Decreto, comma 1, lett. a) e b), e non anche dell’allegazione da parte dell’interessato prevista dalla lett. c), di una dichiarazione sostitutiva di certificazione attestante la sussistenza delle condizioni di reddito previste per l’ammissione.

Avv. Livia Bongiorno (Rete Dafne Italia)

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